“Ti amo, dama di picche, per quel che sembri e quel che sei.” Avrebbe voluto dire il fante. La donna di quadri, la donna di fiori, non erano la stessa cosa, come la donna di cuori, la donna dei dolori, dei rimpianti. Altre donne, la stessa che non tornava, come un conto, rifatto tante volte.

 

 

Il fante e l’amico indissolubile, il jolly ombra, osservavano il panorama dalla torre del mazzo. Gli altri fanti mescolati stavano per riaffiorare con essi il loro rovescio, gli altri numeri imprecisati e i semi indecisi.
Potevano sembrare un sette, una figura, o qualche altra identità, un’ombra mossa alla finestra di fronte a un altro castello.

E il castello è qualcosa di speciale, un’altra epoca, un’altra casa, la roccaforte irta di torri, Gerusalemme celeste, paragonabile a un tempio di milioni di anni, il castello dei desideri, il colore cupo o nitido simboleggiano l’insoddisfazione o la realizzazione del desiderio.
Se proprio è un luogo può essere Camelot. Oppure una rovina da visitare o una storia da ritrovare.

Era bello sentirsi cavaliere nelle pareti mobili della stanza segreta con l’immancabile porta chiusa.

 


Lei era la battaglia dalle labbra sottili . Ascoltava una parola d’ordine lontana.

Nelle ore qualsiasi non tutto va bene.
Ogni carta diceva la sua, la difficile scelta.
La notte urgente, colta impreparata.

 

 

Asso, Re, Fante, dieci… mancava la donna per fare la scala.
“Una carta!” disse il giocatore.
Il silenzio delle espressioni attorno a lui bloccò la sua mano. Egli poi scorse inutilmente le dita. La carta pescata non appariva o lui non aveva il coraggio di guardare?

 

 

Posati i bagagli l’ospite misterioso si guardò attorno e vide la meravigliosa trasparenza. Il soffitto in fuga, il pavimento lago di luce, riflesso sul vuoto e le pareti suadenti, illimitate, quanto inesistenti.
“Vieni, entra.” Un gesto impercettibile dell’accoglienza nella felice incertezza. Nell’aria sottile, centellinata, un gusto indicibile, lo stile del parlato, il sapore del sentire, di abbandonarsi, nel letto, nel nulla.

Nella stanza accanto la carta arrotolata del pavimento a scacchi. La tappezzeria a fumetti con le sue epiche gesta.
Lei si aggirava nella vita illustrata, impossibile a dirsi, tra le spire dell’arte.

L’albergatore scorse il registro e indicò i nomi.”Una stanza si sta ancora facendo”. Disse, come se fosse una spiegazione. Dell’altra era inutile parlare, era quasi impossibile rendere l’idea, si poteva forse immaginare, provare a viverla in qualche modo.
L’uomo rimase incerto. Li stava cercando da molto tempo, ma non poteva dirlo. Stava arrivando, quasi voleva che qualcuno li avvisasse.

Entrambi rimasero in ascolto di un passo furtivo che non arrivava. Erano stufi di fuggire, di nascondersi, di fronte all’accaduto, alle apparenze non restava che una sola cosa da fare. Scambiarsi le stanze. Era previsto nell’appuntamento.

 

 
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