IL CALLIGRAMMA
Il termine “calligramma” è stato coniato da Guillaume Apollinaire per designare i suoi testi figurati ove i contorni di un disegno sono rappresentati, anzichè dal tratteggio, da una linea di testo scritto. Giovanni Pozzi (“La parola dipinta”, 1981), ne amplia l’accezione presentandolo come una alterazione dei versus intexti, costituiti da acrostici che attraversano un testo soggiacente ovvero testo primo, riproducendo una figura. Togliendo il testo primo, quello portante, i versus intexti poggiano sul vuoto ovvero sul bianco della pagina. Secondo questa accezione, che ci trova concordi, il primo calligramma potrebbe essere la “Piramide” di Eugenio Vulgare (vedi, versus intexti). Senonché, in un codice conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana (Cod. Bibl. Chig. A. V129 I-II; fol. 1-38) è presente un carme costituito da cinque versi-linee che dividono la pagina in quadrati 4x4 ed altri sei disposti in diagonale 3x3 per cui oltre ai quadrati si hanno pure rombi. Mancando il testo primo, questo carme che è di Rabano Mauro, può essere considerato l’antesignano del calligramma (Fig. 1).
Abbone di St. Germain-des-Prés
Un carme dedicato al Re Odo di Parigi “Versus de nomine Odone regis” di Abbone di St. Germain-des-Prés, databile verso l’888 (Fragment 89, fol. 8r, Deutschestats Bibliothek, Berlin), ha forma circolare e gli otto versi che si irradiano dal centro terminano in un cerchio diviso in otto parti, ciascuna principiante con una “O” (Fig. 2). Dello stesso autore un altro carme (Fragment 89, fol. 8r, idem), è dedicato alla regina Theotrada ed è costituito da una superficie rettangolare divisa da una croce in quattro quadrati a loro volta divisi dalle diagonali in quattro triangoli, risultandone sedici triangoli. Pure in tal caso tutti i versi iniziano con una “T” evidenziata in maiuscolo che allude al nome della Regina Theotrada che deriva da “theo tetrada” (deo quarta) cioè colei che possiede la “perfecta cognitio Trinitatis” (Fig. 3). Tale rilievo dato ad una lettera alfabetica, verrà ripreso da Uffing von Werden e da Iacobo de Dacia, quale essenziale elemento del calligramma in quanto costituisce uno fonosimbolismo comune sia al testo poetico lineare che accompagna quello figurato sia a quest’ultimo. È il segno di uno stilema che dall’880 giunge sino al 1350 di Iacobo de Dacia.
Uffing von Werden
Il monaco Uffing von Werden è autore di una agiografia sulla Santa Ida von Herzfeld e di una “Vita sancti Liudgeri”. Alla National Bibliothek di Budapest (Cod. Lat. 7, fol. 2v) sono conservati due suoi carmi figurati di eccezionale intensità verbo-visuale, che sviluppano lo stesso stilema di quelli di Abbone ma in forma assai più ornata. Il primo è circolare, diviso in otto semicerchi con al centro, inscritto, un quadrato diviso in sedici triangoli (Fig. 4). Le linee del disegno sono composte da versi che iniziano con una “S” ben rilevata in corpo e neretto, tranne il primo “A” in “Alfa et Omega dominans sine calce per etera regnans”, il nono “Aurea spes orbis, tuus Otto semper fidelis” e il 170 “Alme pater, nostris succurre benigniter ausis”. La composizione vibra otticamente sia per l’elegante struttura geometrica sia per il rilievo dato dalle “S” e dalla unica “A” posta alla sommità del carme; il nome Otto si riferisce all’imperatore Ottone III e la composizione può dunque essere datata intorno al 985. L’altro carme figurato (fol. 3r) ha forma di croce greca, composta da una serie di dodici archi di cerchio. Pure in tal caso un forte rilievo è dato dalla lettera “T”, ripetuta per trentun volte, dato che con tale lettera iniziano tutti i versi del carme, che è un inno alla croce (Fig. 5).
Pietro Abelardo
Il filosofo e teologo Pietro Abelardo (1079-1142) è autore di un carme figurato “Versus magistri Petri Aboelardi de incarnatione Domini et de reparatione Lapsi”. Il calligramma è composto da due cerchi concentrici e da tredici raggi. Il cerchio maggiore reca i versi “Omnibus ostendo, quod Homo sum corpus habendo” e “Occultusque polo solio Deus impero solo”. Tutti i distici che compongono i raggi iniziano con la lettera “O” e sono a doppia rima: “ostendo-habendo, polo-solo, consilio-fio, Deo-virgineo, omo-pomo ecc…”. Il verso “Omnia solus ego rex sine fine rego” forma il cerchio interno. (Fig. 6)
Niccolò de’ Rossi
Il trevigiano Niccolò de’ Rossi (1285-1348) è autore di sonetti in dialetto veneto, alcuni dei quali ha trasferito in inedite forme visuali (confer “Il canzoniere di Niccolò de’ Rossi”, a cura di F. Brugnolo, Padova, 1974-77). I suoi testi sono conservati nel Cod. Colombianus 7.1.32, Bibliot. Capitular di Siviglia e nel Cod. Vaticanus Barberianus 3933 contenente quattro canzoni e 75 sonetti. Nel sonetto figurato n° 247 di cui ne diamo l’eccellente ricostruzione di Brugnolo, i versi sono disposti in forma di ruota a due cerchi concentrici. I versi devono leggersi seguendo il percorso dei sette diametri che attraversano la ruota, dal primo “Tanto plaçente esser e çogliosa” e proseguendo in senso antiorario con “Amor, eo vidi, inamorato stando” e così via. Ne diamo pure il testo in forma lineare. La vocale “A”, evidenziata graficamente, posta al centro della ruota, costituisce pure la fine di un verso e l’inizio di quello seguente. A loro volta le vocali situate tra l’uno e l’altro dei cerchi concentrici, hanno la stessa funzione. La forma di questo calligramma può anche interpretarsi come figura floreale a 14 petali, rinviando ad un sostrato erotico. (Fig. 7) L’altro sonetto figurato (n° 248 Codex Colombianus) (Fig. 8) presenta in forma iconica la “cathedra Petri” ed è rivolto al Papa Giovanni XXII che risiedeva ad Avignone, esortandolo a nominare come Re di Napoli Roberto d’Anjou. La parte superiore, un ventaglio di otto versi, raffigura lo schienale e il baldacchino del trono e si legge in senso orario, mentre la parte inferiore disegna il sedile del sonetto caudato. Ne diamo pure la forma lineare. (Fig. 8 bis) Un altro sonetto di de’ Rossi (n° 237 Brugnoli) non è un calligramma, ma segue il modello dei versi concordanti, artificio che consiste nel mutare radici di parole davanti a desinenze immutate o viceversa. (Fig. 9) Il de’ Rossi è un accanito sperimentatore: i suoi sonetti sono una miniera di figure retoriche, dalle difficili rime alle anafore, dalle antitesi alle paranomasie. Ad esempio, il sonetto n° 337 intitolato “Astosus bistiçus”, è diviso verticalmente in tre parti e quella mediana è tutta a coppie allitterate: “porte-aperto, dormo-darmi, osse-lasso, veglio-cavigli, ecc…”, una struttura fonica che ha pure valenza visuale. (Fig. 10)
Iacobus Nicholae de Dacia
Autore di eccezionale intensità poetica e altrettanta ricercatezza figurativa è il danese Iacobus Nicholae de Dacia, pseudonimo di Iakob Nielsen, autore del “Liber de distinccione metrorum” (1363). Fu segretario del conte von Pembroke come maestro di Ars Dictaminis, poi nel 1373 insegnava a Cambridge, poi fino al 1379 alla Università di Parigi. Il “Liber” è un ciclo di calligrammi, preceduti da una spiegazione tecnica e da una stesura in forma lineare. Dell’opera esistono un codice all’Università di Cambridge (Ms. Add. 3077 fol. 169r-178r) col titolo “Optimi versus de morte”; un altro alla British Library (Ms. Cotton Claudius A. XIV, fol. 1r-37v) con testi a iniziali dorate ed ornato floreale; un altro ancora alla Bibliothèque Nationale di Parigi (Cod. Lat. 10323-2r-26r) in bella calligrafia e ornato; un quarto alla British Library Royal (7 B VII). Nella “Praefatio” l’autore dichiara che l’argomento del libro è la condizione mortale dell’uomo, la descrizione dei mali sia corporali che spirituali, lo stato di debolezza, i difetti umani e l’aspirazione alla felicità celeste. Il tema è pertanto la “vanitas mundi”, il “memento mori” e lo stato dell’homo terrenus, un esplicito rimando al pessimismo dell’Ecclesiaste dell’Antico Testamento. (Fig. 11) De Dacia riprende la raffinata tecnica calligrafica di Uffing von Werden, ben 350 anni dopo, il che ci fa supporre che probabilmente si trattasse di uno stilema piuttosto comune in quel periodo. Ma la novità che de Dacia sistematicamente introduce è data dall’assunzione di un doppio testo, il cui materiale verbale è esattamente identico, muta soltanto la forma, lineare la seconda e a calligramma la prima, istituendo un rapporto di singolare tensione tra le due versioni, altrettanto valide entrambe. Pure la soluzione lineare lo è sino ad un certo punto. (Fig. 12) Osservando ad esempio la parte lineare del Metrum XXVII noteremo che il testo è disposto in quattro parti, le prime tre a quattro distici, l’ultima a due, separate da puntuali rimandi al testo figurato. Se tali rimandi fossero rimossi, avremmo una specie di versus intexti costituiti dalle lettere “M” che fungono da acrostico, doppio mesostico e telestico: una ossessionante maiuscola iterazione consonantica al contempo iconica e fonica, accentuata dalla altrettanto assillante ripresa della medesima rima. La tensione che si forma tra le due versioni è dunque data dall’incalzante tragico pathos della versione fono-lineare contrapposto alla impassibile ricercatezza e simmetria geometrica della sua traduzione a calligramma, un contrasto tra due forme, e non già tra forma e contenuto, che trova in se stessa una incompatibilità pre-barocca tra il realismo tragico e la pompa funebris dell’ornato, si pensi a certi sonetti funebri di Gongora. D’altra parte occorrerà pure rammentare che proprio verso la metà del 1300 si ebbe l’esplosione della peste in tutta l’Europa, un luttuoso evento sul cui cupo sfondo il Boccaccio darà “l’orrido cominciamento” al capolavoro del Decameron. Il calligramma Metrum XXIII (Fig. 13) è costruito a “versus concordantes” e così pure il Metrum XIX (Fig. 14). Il Metrum XXV è un esempio di “pyramis inversa” a base triangolare (triedro) (Fig. 15). I triangoli della base sono contrassegnati dalla parola “Mors”, e la metà dei lati esterni è contrassegnata dalla lettera “M”, mentre la lettera “S” è situata sulla cuspide centrale. Il Metrum XXVII, già prima citato è composto da tre quadrati concentrici, la “M” iniziale e finale dei singoli versi, qui compare ben rilevata graficamente come una serie di punti su cui poggia il calligramma, e così pure l’abbiamo notato presso i calligrammi di Uffing von Werden. (Fig. 16) Il Metrum XXVIII è anch’esso formato da tre quadrati concentrici ma disposti in diagonale l’uno rispetto all’altro. Il quadrato più interno è a sua volta diviso in quattro triangoli dalle diagonali, una immagine piuttosto cinetica graficamente. Questo metro è un inno a Cristo quale trionfatore sulla morte. Lo schema grafico poggia sul rilievo dato alla lettera “S” di “spes, sol, solve, surgite, spem”. Col Metrum XXIX si ritorna al tono pessimista con la drammatica domanda “Me verto quorsuM? Mors infert vulnere morsuM! Me premit ad dorsuM, Me trudit ad ima retrorsuM.” La figura del calligramma è a doppia stella a otto punte. Sia le punte che gli incroci dei raggi, nonché il centro sono messi in risalto dalla lettera “M”. (Fig. 17) La forma del Metrum XXXI è di due cerchi concentrici e i sedici versi sono disposti in modo che otto vadano dal centro alla circonferenza maggiore, quattro compongano la circonferenza minore e quattro la maggiore. La figura appare dunque come una ruota con evidente impressione di cinetismo visuale. (Fig. 18) Il Metrum XXXII si basa sulla figura “metrum scacarium sive scacarii”, composto da otto versi, ciascuno di otto parole, disposte su una scacchiera di 8x8 quadrati. Ne diamo sia l’immagine del calligramma sia il senso di lettura seguendo la direzione delle linee in diagonale. (Fig. 19)
Il Calligramma barocco
Il calligramma barocco, dopo i felicissimi esiti medioevali di Uffing von Werden e di Iacobus de Dacia, rifiorisce nel periodo barocco. Un perfetto esempio di calligramma è il “Trentesimo sigillo” di Giordano Bruno nella “Explicatio Triginta sigillorum” (1583). (Fig. 20) Caramuel de Lobkowitz, nel “Primis calamus ob oculos ponens metametricam…” (1663), ce ne dà molti esempi come il carme circolare “Pentacyclica inscription”. (Fig. 21) Caramuel fa un’interessante riflessione sulla lettura a più direzioni, recto o contrario o curvo ecc…, favorita dalla tecnica a stampa in quanto tale composizione comporta il disporre le lettere al rovescio: “la tipografia è una specie di scrittura rovesciata, e colloca le lettere in un ordine inverso a quello in cui sono composte”. Del Caramuel è pure un carme – rebus (Fig. 22) senza parole composto con cuori, cerchi e note musicali, una inedita soluzione di visualità verbofonica. Di M. Kelner ecco questo calligramma combinato con un acrostico (“Epaenodia”,1620) (Fig. 23). Del gesuita Ermanno di Santa Barbara ecco un calligramma combinato con anagramma e acrostico, figurante una stella (Fig. 24) e un altro calligramma combinato con acromesostici, figurante un sole. (Fig. 25) Di L. De Gand de Brachey un calligramma in forma di sole (“Sol Britannicus”, 1641). (Fig. 26) Del gesuita Pascasio di San Giovanni un calligramma in forma di rosa (“Poesis artificiosa”, 1674). (Fig. 27) Di E. Lenaerts un calligramma combinato con rebus a forma di cuore (“Trophaeum amoris”, 1739). (Fig. 28) Sempre a forma di cuore un calligramma di Simeon Polockij (1678). (Fig. 29) Di F. Weiss un calligramma nuziale figurante un calice con auguri spirituali (1678). (Fig. 30) Di S. Lepsenyi due calligrammi a forma di corona (Fig. 31) e a forma di rosa (Fig. 32) (“Poesis ludens”, 1551). Infine di Baldassarre Bonifacio questa “Clepsydra”, (“Musarum Liber XXV Urania”, 1628). (Fig. 33)
Calligrammi futuristi
Pescando nell’affollata riserva futurista possiamo trovare numerosi esempi di parolibere che presentano molte affinità col calligramma. Già Apollinaire confessava che l’idea dei “Calligrammes” gli era venuta osservando certi testi di Francesco Cangiullo, (vedi l’articolo “Devant l’idéogramme d’Apollinaire” a firma Gabriel Arbouin, alias Apollinaire stesso, in “Soirées de Paris” – luglio / agosto 1914). Ad esempio nella parolibera “Fumatori II” (“Su Lacerba”, 1914) (Fig. 34), ove troviamo all’inizio l’immagine di un portabagagli di scompartimento ferroviario con la parola “valige” ripetuta più volte e sovrapposta l’una sull’altra, oppure in “Serata in onore di Yvonne” (idem) (Fig. 35), la parola “fumo” dilatata inserendo tra una lettera e l’altra vari nomi di sigari o in “Piedigrotta”, pubblicata nel 1916 ma già due anni prima in circolazione manoscritta, la parola “suono” che si allarga in forma di megafono (Fig. 36) oppure in “Palpavoce”, un calligramma a quattro mani di Balla e Cangiullo (Fig. 37), la figura di una tromba di scale la cui ringhiera funge da trasmettitore della voce. Un calligramma è la spirale in “L’ellissi e la spirale, film + parole in libertà” (1915) di Paolo Buzzi (Fig. 38), come pure di Corrado Govoni il disegno di “Autoritratto” (Fig. 39) o della “Camera sentimentale” oppure ancora l’episodio della “Fresca fucileria della pioggia” (cha fa il paio con “Il pleut” di Apollinaire) il tutto in “Rarefazioni e parole in libertà” (1915). (Fig. 40) Di Paolo Buzzi è l’ironica rielaborazione a forma di calligramma della “Pioggia nel pineto” dannunziana (“L’Italia Futurista”, 1916) (Fig. 41). Di Mario Carli il calligramma “Crocicchio di notte” (idem) (Fig. 42), di L. de Nardis “Il sonno” visto come un pallone – luna galleggiante nella notte (idem, 1917) (Fig. 43). Sempre di de Nardis “Compenetrazione” (Fig. 44), un dinamico calligramma ove l’odore di benzina di un auto in corsa pare tranciare brutalmente i profumi della campagna. Sempre restando in tema di velocità ecco i “Polirumori di un treno in fuga” (Fig. 45) di Jamar (1917), cui risponde il “Treno in corsa” di Cesare Simonetti, visto come un proiettile (in “Nuovi poeti futuristi”, 1925) (Fig. 46). In un’atmosfera più rilassata troviamo il “Buffet di stazione” di Ardengo Soffici (in “BIF § ZF + 18 simultaneità e chimismi lirici”, 1919) (Fig. 47) ove compare la figura molto stilizzata di un lettore di giornale seduto al caffè di una stazione. In “Piccola amica” di Pino Masnata (in “Tavole parolibere”, 1932) la forchetta e il coltello paroliberi sono sul punto di affettare sul piatto una appettitosa signora (Fig. 48); dello stesso autore la tavola “Mi ami?” che lei chiede pensando alla cerimonia nuziale, mentre lui risponde “Tanto!” pensando al letto (Fig. 49).
Apollinaire
E veniamo ai “Calligrammes” di Guillaume Apollinaire, pubblicati nel libro omonimo (1916). In “La cravate et la montre” “le frasi sempre più lunghe che occupano le ultime ore sul quadrante dell’orologio, raccorciando le distanze intermedie tra un’ora e l’altra, dicono che le ultime ore passano più veloci; a loro volta, le scritte più lunghe, richiedendo un tempo di lettura superiore, rappresentano visivamente la maggiore durata dei rintocchi che segnano le ore estreme” (G. Pozzi, “La parola dipinta”, 1981). (Fig. 50) In “Voyage” “la locomotiva trascina il suo carico, passando per oscuri avallamenti e chiare pianure verso una notte fonda che cancella, malgrado il cielo stellato, le sembianze dei ricordi più cari; le serene apparenze non possono ingannare: il viaggio si svolge in un paesaggio carico di tristi presagi, come dicono l’arida nube e l’uccello spiumato” (G. Pozzi, idem). (Fig. 51) Il calligramma “2° Cannonier conducteur” sarà il ricordo del quartiere parigino – il crocevia, i palazzi, la torre Eiffel – cui contrasta l’immagine della bocca da fuoco, a dare l’idea della guerra. (Fig. 52) In “Coeur couronne et miroir” (Fig. 53) le parole disegnano la cornice di uno specchio; il bianco della pagina è il vetro riflettente mentre l’immagine riflessa è rappresentata dal nome del poeta. Le parole di contorno dicono “Dans ce miroire je suis enclos vivant et vrai comme on imagine les anges et non comme sont les reflets”: quell’io è vero e non riflesso, perché non è visto al rovescio come si vedrebbe se fosse riflesso. Per di più quell’io è rappresentato da un nome e non da un profilo e cioè dal puro connotante di un vero e vivo assente. Curiosamente, è proprio quasi all’inizio del libro che è collocato il calligramma più complesso e strutturato, “Lettre-Océan” che occupa tre pagine ed è il calligramma più affine alla parolibere futuriste. Esso si può interpretare come una lettera spedita in Messico, che contiene una serie di frasi in forma circolare che ci danno l’idea di Parigi; il calligramma si chiude con una complessa serie di cerchi concentrici composta di frasi e di rumori e tale finale ci sembra una perfetta traduzione grafica del “poème-conversation” che una tipica soluzione di simultaneismo da parte di Apollinaire (un confronto si può fare con il marinettiano “Decalogo della sensibilità motrice” in “Dune” (in “Lacerba”, 1914). (Fig. 54 e 54 bis)
Altri calligrammi moderni
Un interessante calligramma è quello di Tristan Tzara “Astronomie astronomie” scritto a penna su carta quadrettata blu, datato 1916 ed ora nell’archivio Tzara, Parigi: il cielo è visto come una ragnatela di costellazioni. (Fig. 55) Altro prolifico autore di calligrammi è stato Pierre Albert-Birot: ecco l’elegante “Rosace” (in “Poésies”, 1916-24) (Fig. 56) oppure “La fleur de lys” (Fig. 57) o ancora “L’offrande” (in “La lune”, 1924) che è una patetica offerta all’amico poeta Apollinaire da poco scomparso. (Fig. 58) Eleganti esempi di calligramma sono le varie soluzioni dattilografiche (“Poémes mécaniques”) di Ilse Garnier in “Rythme-silence” (Fig. 59), come pure il mazzo di fiori (1964) dell’americana Mary Ellen Solt (Fig. 60). Di Eugenio Miccini un superbo calligramma, ironico saggio su una nuova forma di scrittura (Fig. 61) e dello stesso autore “Poesia” (Fig. 61 bis) composta sul terreno da schiuma da barba più rose e due poemi presocratici (Fig. 62 e 63) dove filosofia e natura si identificano. Di Franco Spena pubblichiamo una strada lastricata da pagine di quotidiani che si addentra in un bosco ovvero la materia cartacea che ritorna da dove era partita (1995) (Fig. 64). Spiritoso il calligramma “Lettre” (1980) di Marcello Diotallevi: lettere alfabetiche che si staccano e cadono in calce alla pagina, come già aveva sognato in un incubo Borges che ce lo riferisce nell’Aleph. (Fig. 65)
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