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IL TECHNOPAEGNION DI AUSONIO

 

iconografia

 

 

 

Decimo Manio Ausonio nasce a Burdigala, odierna Bordeaux nel 310 ca.ed ivi muore nel 395 ca. Figlio di un medico, compii gli studi a Tolosa ed insegnò per trent’anni grammatica e retorica nella città natale. Verso il 367 l’Imperatore Valentiniano lo chiamò a Treviri per educare il figlio Graziano. Fu “quaestor sacri palatii” nel 375, “praefectus Galliarum” nel 378 e console nel 379.

Dopo l’assassinio di Graziano si ritirò nelle sue terre presso Bordeaux, dedicandosi agli studi letterari e alla poesia. In tarda età si convertì al Cristianesimo.

Scrisse l’“Ephemeris”, poemetto in vari metri, che descrive i diversi momenti della giornata del poeta e i 483 esametri della “Mosella”, che narra un viaggio lungo quel fiume. Compose pure epigrammi e carmi in onore di Bissala, una schiava germanica, 25 lettere in versi, molte indirizzate al discepolo Paolino di Nola.

Ausonio appartiene alla storia della poesia visuale perché in lui si ritrova quella nota manieristica tipica degli autori visuali, dagli alessandrini a Porfirio. Ad esempio, sfruttando l’opera di Virgilio come una cava di pietra, Ausonio compone a montaggio il collage del “Cento nuptialis” ove nella dedica spiega che l’elemento costruttivo dell’opera è costituito dall’uso di un verso lungo, un esametro e mezzo, e dalla coordinazione delle frasi per semplice accostamento in un nuovo continuo testuale. Pare che Ausonio considerasse il “cento” come una specie di carme figurato, nel senso di un mosaico di frasi.

In una lettera in versi mischia latino e greco in modo sistematico, ponendosi a precursore della poesia maccheronica. Scrisse pure una poesia enigmatica secondo lo stile del poeta alessandrino Licofrone, cioè con l’uso puntiglioso di parole rare e di ricercatezze nelle rievocazioni mitologiche.

Fu un virtuoso della metrica e la sua “Oratio versibus rhopalicis” è composta da 14 strofe di tre versi ciascuna: ogni verso essendo ropalico, vale a dire che partendo da un vocabolo monosillabico, va aumentando progressivamente di una sillaba. (Fig. 1)

Ausonio è pure autore dei “Technopaegnia”, termine col quale designò una serie di composizioni in esametri che regolarmente terminano con un monosillabo e in un carme, tale monosillabo viene ripetuto all’inizio del verso successivo, producendo un effetto visuale in quanto tutta la composizione appare bloccata tra due serie verticali di monosillabi ciò che richiama la forma ad acrostico e telestico del versus intexti, pur non recando un primo testo di base.

Inoltre i rimandi a eco tra fine verso e inizio del verso seguente, segnano il nascere di una sensibilità fono-ritmica che sfocerà nella creazione della rima nella poesia bizantina, il contacio, quando ormai si era perso il senso della quantità della metrica classica. (Fig. 2)

Tecnicamente il Technopaegnion di questo carme è una anadiplosi, che fa parte delle figure che nascono dalla posizione finale nel verso, come il telestico, la rima, l’epifora e l’epanalessi. L’anadiplosi crea pure una specie di concatenazione nella dinamica del testo, ribadita dalla cadenza monosillabica, effetto questo voluto dall’autore quando scrive “Sed cohaerent ita, ut circuli catenarum separati”.

Ritornerà su questa figura Eberardo Alemanno: sono i “versi serpentini” ove la parte ripetuta da fine verso ad inizio verso seguente, è costituita da un segmento linguistico più esteso di un vocabolo come in “Laboryntus”. (Fig. 3)

I Technopaegnia di Ausonio non hanno nulla a che fare coi paegnia alessandrini, col nome dei quali vanno molto spesso terminologicamente confusi.

Un altro tipo di ricerca di Ausonio è costituito da esametri che terminano con monosillabi, ma ad inizio libero come ad esempio “De Inconexis” (pensieri sconnessi) (Fig. 4). Qui si avverte quella tendenza a disporre le frasi a collage come nel “Cento nuptiales”.

È il nuovo gusto del bricolage ove il comporre si identifica non tanto con l’inventio quanto nell’acconciare e rivedere il materiale della letteratura classica. Tale artificio acquista più senso nei carmi a domanda e risposta “Per interrogationem et responsionem”, che ritornerà nella liturgia cristiana in forma di responsorio. (Fig. 5)

Curioso poi è il carme “De litteris monosyllabis graecis ac latinis” (Fig. 6). In tale testo bilingue, a parte l’insistenza sul monosillabismo, troviamo una serie di quiproquo indicativi di come i latini consideravano certi rapporti fra le due lingue: ad esempio, il dittongo greco “oủ” considerato invece come lettera, oppure la “ητα” equiparata alla breve “epsilon”, o che la lettera “v” manchi al greco (mentre in antico c’era il “digamma”), mentre invece la si usava quale “beta” come oggi in Spagna, o ancora lo scambiare il greco “rho” col latino “p” mentre invece è un suono gutturale simile al tedesco “Raum”.

L’opera di Ausonio costituisce un importante anello di congiunzione tra Porfirio e Venanzio Fortunato e oltre, con la poesia del medioevo latino sino ad Eberardo Alemanno. Ad esempio, altro punto di contatto è tra i suoi technopaegnia e il carme XX di Angilberto, vissuto nel periodo della rinascenza Carolina, che è una epanalessi. (Fig. 7)

Persino nei “Rhétproqueurs” francesi del 400 possiamo ritrovare echi di Ausonio, come questa specie di anadiplosi di Meschinot. (Fig. 8). L’anadiplosi sarà poi all’origine delle rime incatenate come questo “Virelai” dal “Traictie de l’Art de retoricque” (seconda metà del secolo XV). (Fig. 9)

Infine ecco un esempio di imitazione da Ausonio e cioè dal carme “per interrogationem et responsionem”, da parte di Rabelais nel capitolo XXVIII del Pantagruel. (Fig. 10)

 

 


 
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