I VERSUS INTEXTI
Il capostipite Publilio Optaziano Porfirio
Di Publilio Optaziano Porfirio si ignora sia la data di nascita che di morte. Si sa soltanto che fu prefetto a Roma nel 329 e nel 333 e che pare fosse cristiano. Esiliato da Costantino per ignoti motivi, onde tornare nei favori del monarca scrisse il “Panegirico all’Imperatore”, composto da trentuno carmi dei quali venti in un nuovo genere di poesia figurata, i versus intexti: si tratta dei carmi II - III - V - VI - VII - VIII - IX - X - XI - XII - XIII - XIV - XVI - XVIII - XIX - XXI - XXII - XXIII - XXIV - XXXI. Fra gli altri carmi, tre sono costruiti con la tecnica alessandrina dei paegnia, a forma di organo ad acqua (il XX), di ara (il XXVI) e di siringa (il XVII) (Fig. 1, 2, 3, 4). Il carme XXV inaugura la tecnica del proteo a permutazione delle parole (Fig. 4), partendo da un testo base di quattro esametri (vedi glossario, alla voce proteo). Il procedimento che ha riscontri nell’avanguardia contemporanea, ritornerà in un poemetto astronomico-computistico del secolo IX per mano di un certo Dicuil e poi, nel ‘600 barocco, nella “Cynosura mariana” di Niccolò Barsotti. Il Caramuel nella “Metametrica” raccoglierà altri esempi sotto il titolo di “Apollocentricus et circularis”. Basato pure sulla permutazione è il libro di Raymond Queneau “Cent mille milliards de poèmes” del 1961. Il carme XXVIII è invece composto da distici cancrini. (Fig. 5) Ogni distico è ripetuto esattamente a ritroso (vedi glossario alla voce cancrini). Un precedente è costituito dal verso di Virgilio (Eneide 1.8) Musa mihi causas memora, quo numine laeso che dà laeso numine quo memora causas mihi Musa. Questa tecnica avrà fortuna nel medioevo latino, provenzale e francese e poi col Groto nel bellissimo sonetto Fortuna e senno Amor dona, non tolge. Il principio dei versus intexti è mutuato dalla tecnica dell’acrostico, un senso secondo che percorre una superficie scritta in direzione non orizzontale. Porfirio sviluppa e amplia il procedimento, introducendo, oltre all’acrostico, il mesostico, il telestico e acrostici orizzontali (vedi glossario alla voce versus intexti). Questa diversa presenza linguistica deve essere rilevata o dal tratteggio (uso di maiuscole o di neretti) o dal colore, per distinguersi dal senso primo. Così ad una sovrapposizione di senso si unisce un effetto grafico, di rilievo sovrapposto. Il senso primo ovvero la scritta sottostante, funge da sfondo ed ecco perché i versi del senso secondo si chiamano intessuti, come se lo fossero sul senso primo. Tecnicamente, affinché l’artificio risulti perfetto, occorre che il messaggio del senso secondo sia perfettamente isometrico, sia cioè composto da un identico numero di lettere, onde ottenere la contiguità esatta delle lettere chiamate a costituire il senso secondo. Rispetto ai paegnia alessanadrini, formati da una serie di versi di diversa lunghezza, che, accostati e opportunamente centrati, producono il profilo di un oggetto, massa oscura posta sul chiaro della pagina, Porfirio libera il carme figurato da codesta mimesi, la cui iconicità è meramente descrittiva, aprendola ad una vera e propria integrazione fra verbo, numero e segno. Inoltre i versus intexti offrono al contempo due testi, quello del fondo e quello dei versi intessuti su tale fondo, il che è una soluzione di simultaneismo verbale. Oltre a ciò, e non è poco, i versus intexti, per via sia del tratteggio che del colore, si aprono a un gioco visivo di pieni e vuoti e di cromatismi che fa di tale poesia una forma sia verbale che pittorica, che lo stesso Porfirio teorizza più volte sia all’interno dei carmi che compongono il suo libro, sia nella epistola che lo accompagna. Tale novità di procedimento formale fu ben compresa dall’autore della lettera di risposta fatta inviare da Costantino al poeta: “… anche mi è gradito che l’abilità dei tuoi studi riesca a creare nuove norme nel comporre i versi che attraversano il centro della poesia che ti sei proposto di fare, in modo che le figure di differenti colori dilettino la vista… A te è toccato di ottenere che l’osservanza di molteplici norme non provocasse impaccio alla poesia”. L’originale, inviato all’imperatore e andato perduto, era manoscritto con inchiostro di porpora su pergamena a fondo oro e argento, come apprendiamo nella dedica: “Ut oculorum sensus inter distincta colorum pigmenta delectent ostro tota intens, scripta argento auroque coruscis notis” (affinché la vista sia attratta dai diversi pigmenti dei colori, e ogni parola diletti splendente di porpora e in argento e oro a sfavillante rilievo). Se ne conservano molte copie a colori su vari codici.
Da un carme di Venanzio Fortunato, rimasto incompiuto, sappiamo come fossero costruiti questi artifici. L’autore divideva il foglio in quadratini, tipo parole incrociate, di solito in numero di 35x35, poi tracciava una figura fatta di linee dello spessore di un riquadro e dentro a queste linee scriveva i versi intessuti; poi passava alla composizione dei versi che esaurissero i riquadri rimasti vuoti, per ogni riquadro una sola lettera alfabetica. Quanto maggiore era il numero delle lettere, tanto più complessa risultava la composizione. Come già detto, i versus intexti sono il prodotto di una sistematica e coerente applicazione del principio dell’acrostico, figura ben nota nell’antichità fin dai tempi della letteratura accadica. Quel che distingue il lavoro di Porfirio è la combinazione dei vari tipi di acrostico nello stesso carme e cioè dell’acrostico in posizione iniziale dei versi che compongono il senso primo (lo sfondo), del o dei mesostici in posizione mediana, del telestico in posizione finale, nonché del notarico che è un acrostico a percorso orizzontale. Tanta era la bravura e la sottigliezza del gioco verbale e cromatico, quanto invece era apologetico il senso del testo in una serie di esametri tesi unicamente all’esaltazione del monarca. Prima ancora che si produca e si affermi lo stile figurativo bizantino, che sottrae la plasticità scultorea per sostituirla con l’evento cromatico, questo tipo di poesia l’annuncia ai suoi albori e lo precede. Ciò che conta non è la qualità encomiastica di questi esametri né quella lirica della parola, bensì la struttura visuale e l’esasperazione dell’artificio teso a sorprendere il lettore. Il mondo sta cambiando e non più interessa la salda forma dell’essere come nella scultura classica ellenica o nel verso omerico e virgiliano, quanto la sacra rappresentazione della regalità del potere, unico argine ai tempestosi eventi della crisi dell’impero romano. È una visione ieratica della vita, tradotta nei versi intessuti come prezioso damasco a sontuosi ricami, come mosaico le cui tessere sono lettere alfabetiche, una musica musiva della parola sulla quale si baserà la poesia mistica alto medievale dal 400 d. C. al 900, cioè ben cinquecento anni di versi intessuti, uno stile, una scuola come possiamo ritrovare per analogia solo nello stile polifonico rinascimentale dei franco-fiamminghi o, mutatis mutandis, nello sviluppo degli stilemi lirici petrarcheschi dal 1300 al 1500 e oltre. Infatti, per il poeta cristiano medievale apparirà ideale la soluzione di sostituire la descrizione dell’evento soprannaturale con l’ineffabilità del verbo geometrizzato e cromatizzato, un gesto decisivo nel senso soteriologico: si rende contemplabile il contenuto sacrale della parola che si fa verbo, logos divino, ordinatore e formatore; l'ineffabile, che è il divino, si fa effabile nella visualizzazione geometrica e cromatica della parola.
Esame Delle Tavole Di Porfirio
Tavola II (Fig. 6) – Il verso Sancte, tui vatis, Caesar, miserere serenus ripetuto sei volte in acrostico, mesostico, telestico e notarico, incornicia la tavola dividendola in quattro piccoli quadrati; al centro di ognuno di questi, altrettanti piccoli mesostici formano il seguente verso: aurea sic mundo disponas saecula toto. Questa disposizione sarà più volte imitata dagli autori mistici medievali. Tavola III (Fig. 7) - I versi fingere Musa queat tali si carmine vultus ("possa tu, Musa, foggiare la forma di tale poema”., Augusti, et metri et versus lege manente, ("sotto la ferrea legge del metro e del verso, o Augusto”), picta elementorum vario per musica textu, (“musica dipinta da un vario tessuto verbale") vincere Apelleas audebit pagina ceras, (“pagina che oserai superare le tavole di Apelle”),compongono la figura stilizzata dell’imperatore. L’estrema stilizzazione del volto del monarca sarebbe dovuta, secondo alcuni studiosi, tra cui il Polara, a una certa inadeguatezza al compito, mentre per altri, tra i quali ci annoveriamo, l’intento di Porfirio era proprio quello di addivenire ad una astrazione assoluta. Come per i moderni è il caso dei vari studi sull’albero di Piet Mondrian ove il pittore passa da una rappresentazione estremamente realistica del soggetto per arrivare a poco a poco ad una totale astrazione. Al centro abbiamo il mesostico grandia quarentur, si vatis laeta Camena ("si possono osare grandi cose se fausta la musa è al poeta"), e il notarico orsa, juvet versu consignans aurea saecla ("giova all'impresa il sigillare col verso l'età d'oro"): questi versi costituiscono un vero e proprio manifesto dei versus intexti. Tavola V (Fig. 8) – I versus intexti compongono la sigla AVG XX CAES X. La sigla AVG è formata dal verso Cum sic scripta placent, audent sibi devia Musae. La sigla XX dal verso per varios signare modos devotaque mentis. La sigla CAES dal verso Gaudia, quae pingens loquitur mea, Phoebe Camena . La sigla X dal verso summe parens, da voce pia tricennia fari. Questi versi tradotti danno rispettivamente: “Quando le cose scritte in questo modo piacciono alla musa possono osare deviare”; “Tracciare in più fogge con devoto sentimento”; “A Febo le cose liete che dice dipingendo la mia Musa”, “O sommo padre, dà con voce pia i tricenni da mostrare”. Tavola VI (Fig. 9) – Questa tavola è composta da versus intexti in una forma che ricorda un granchio. Due sono i versi che, ripetuti a specchio, formano il disegno: Dissona Musarum vinciri stamine gaudens e grandia conabor Phoebeo carmina plectro (lieto di legare cose dissonanti con l’ordito delle muse, tenterò sublimi canti con il plettro di Febo). Tavola VII (Fig. 10) – I versus intexti compongono un ottagono con al centro un quadrato posto all’incrocio di una X. I versi, di carattere panegirico, sono 5: Ausonium columen lux alma et gloria Romae, virtutum specimen, mitis clementia mundi, justitiaeque parens, spes felix, otia rerum, aeterium munus per saecula missum, rectorique dei per te praesentia pollet. Tavola VIII (Fig. 11) – I versus intexti compongono una X che taglia la pagina in quattro triangoli nei quali si legge la parola JESUS; l’incrocio della X è attraversato dalla P di pax. La X è composta dai due versi Alme, salutari nunc haec tibi pagina signo, Scripta micat, resonans nominibus domini. Le lettere che compongono il nome Jesus e la P centrale formano i versi Nate deo, solus salvator, sanctae bonorum, tu deus es justi, gratia tu fidei e sit victoria comes Aug et natis eius. Tavola IX (Fig. 12) - I versus intexti della tavola formano la figura di una palma il cui tronco è un mesostico e i rami sono mesostici in direzione diagonale. Questa figura è stata più volte imitata dai poeti mistici del medioevo. I versus intexti sono: Castalides, versu docili concludite palmam, Constantine fave; te nunc in carmina Phoebum, mens vocat, ausa novas metris indicere leges, limite sub parili crescentis undique ramos, reddat ut intextus Musarum carmine versus. Tavola X (Fig. 13) – Una X centrale divide la tavola in quattro settori in ognuno dei quali si possono vedere inseriti due angoli che puntano verso il centro. I versi sono: Constantine maxime imperator et invicte, aeternae pacis providentissimus custos, pater imperas, avus imperes, Pius et felix, aurei saeculi restaurator, omnia magnus. Tavola XI (Fig. 14) – A struttura molto semplice composta da un acrostico, da un mesostico e da un telestico che segue l'andamento difforme delle righe. I versi: fortissimus imperator, clementissimus rector, Constantinus invictus. Tavola XII (Fig. 15) - Costituita da un acrostico e da un telestico con al centro due rombi. I versi Certa salus rerum, proles invicta Tonantis, Orbi tu renovas felicis tempora saecli, Aurea justitiae terris insignia donas. Tavola XIII (Fig. 16) – La tavola è composta da un mesostico e da un elestico che segue l'andamento difforme delle righe. I versi recano Pius Augustus, Constantinus. TAVOLA XIV (Fig. 17) - costituita da un mesostico che è monogramma del Cristo e da una X centrale che reca i seguenti versi: Summi Dei auxilio nutuque perpetuo tutus e Orbem totum pacavit trucidatis tyrannis. Il mesostico-monogramma reca Constantinus pius e aeternus imperator e nell'occhiello della P reparator orbis. TAVOLA XVI (Fig. 18) – La tavola è costituita da un acrostico e da tre mesostici. Manca il telestico. I versi sono in latino i primo e gli altri in greco: Domino nostro Constantino perpetuo Augusto, Neimén soi basilèu Cristòs kài sois tekéssi, Tìmion eusebìés kratéin arethès te brabèion, Eunomiés àrchein te kài ausònioisin anasseìn. TAVOLA XVIII (Fig. 19) – La tavola è ostruita da un quadrato diviso da quattro quadratini con le loro diagonali. Il verso che costituisce il perimetro del quadrato grande è: Alme, tuas laurus aetas sustollet in astra. Il notarico centrale è composto dal verso Aucta deo vistus musas magis ornata perta. Il mesostico centrale è composto dal verso Aurea lux vatum silvae mihi praemia serva. I due diagonali centrali sono composti dai versi Aurea victorem pietas sonat ubere lingua e Aonios latices pietas juvat armaque diva. TAVOLA XIX (Fig. 20) – Questa tavola presenta il monogramma di Gesù composto da versus intexti in lingua greca e latina. I due versi in greco sono: Tén naùn dei còsmon, se de àrmenon eini nòmizin e thurois teinòmenon ses aretès anémois. Dei sei versi latini che seguono, i primi cinque sono costruiti con una serie di variazioni, e cioè: Navita nunc tutus contemnat, summe, procellas, Nigras nunc tutus contemnat, summe, procellas, Tutus contemnat summis cumulata tropaeis, Pulsa mente mala contemnat, summe, procellas, Spe quoque Roma bona contemnat, summe, procellas, mentre il sesto verso suona Roma felix floret semper votis tuis. I versus intexti disegnano la sagoma di una nave trireme, completa di remi e di timone, il cui albero maestro è costituito dal monogramma di Gesù. Questa tavola presenta tre testi simultanei: sullo sfondo del testo di base i versus intexti costruiscono il monogramma di Gesù e una serie di parole ma al contempo fanno apparire l’immagine della nave. TAVOLA XXI (Fig. 21) – Di fattura più semplice in quanto i versus intexti disegnano una serie di formelle a rombi. I versus intexti recano: Publilius Optatianus Porfyrius haec lusi, Omne genus metri tibi pangens optume Basse, mentre i piccoli rombi inscritti recano il verso Hic versus vario colore dispar. TAVOLA XXII (Fig. 22) – I versus lastricano la tavola con una serie di diagonali che si incrociano formando tante piccole forme romboidali. Ecco i versus intexti: Mixta per amfractus diducunt carmina Musae, seu cancellatos spatia in contraria flexus, Seriem paramus ordinare acrius, amor poesis spissa gaudet exigi, Possit coire docta rerum limite, Opus tuetur non necata parcitas, Speciosa sancta cultu, bene picta Musa metris, breviter fluas ut isto, opus est per arta coetu, Audeo plenas, edere formas, picta notabo, iura Camenis; il che è una spiegazione in versi della figura.TAVOLA XXIII (Fig. 23) – I versus intexti di questa tavola compongono una M e sono in lingua greca . Si riferiscono a un certo Marco. Màrke, tèn àlokon tèn ùmnida Neilos elaùnei. TAVOLA XXIV (Fig. 24) – La tavola è interamente occupata dal monogramma di Gesù costruito coi versus intexti; le due diagonali recano il verso: Omnipotens genitor tuque o divisio mixta, e il mesostico centrale filius atque pater et sanctus spiritus unum, faveas votis. TAVOLA XXXI (Fig. 25) – È composta solo dal testo di fondo e da un acrostico che ripete l’inizio del primo esametro: Constantina deo.
La poesia mistica altomedievale
La poesia mistica dell’alto medioevo si avvale della tecnica dei versus intexti per attingere il momento della ipercomunicazione anche in sintonia con la teoria del numero di Agostino che, nel “De musica”, intende i metri classici quali regole imposte da dio all’anima. D’altra parte, nel complesso delle dottrine esoteriche dell’ebraismo che formano la Qabbalah, si ricorre spesso a metodi e tecniche fondate sul senso mistico attribuito alle lettere dell’alfabeto ebraico e sul loro valore numerico, come il ‘notaricon’ che consiste nel ricavare un senso mistico della parola usando ciascuna lettera di cui essa è formata come iniziale di altra parola, ciò che rimanda all’acrostico orizzontale detto appunto notarico, o come la gematriah che consiste nell’istituire una equivalenza di senso tra parole formate da lettere i cui valori numerici danno somme uguali, ciò che tornerà nel carme gematrico barocco ma sarà già applicato nel carme XXVIII del “De laudibus sanctae crucis” di Rabano Mauro, o infine come la temurah ovvero l’anagramma, procedimento per ottenere la trasformazione di una parola in un’altra.
Venanzio Fortunato
Venanzio Fortunato, tracciando la figura a versus intexti di un suo carme, dichiara che i versi devono ubbidire a rapporti numerici fissi e, nel suo caso, ogni esametro sarà composto da 33 lettere, tante quante gli anni di Cristo. Questo autore (535/40-600ca) si colloca tra Porfirio, contemporaneo di Costantino (280-337) e i poeti della rinascita carolina contemporanei di Carlo Magno (768-814). Fu poeta cristiano e famosi sono i suoi inni “Pange linguam” e “Vexilla regis”. Morì a Poitiers, città di cui fu vescovo. Tre sono i suoi carmi figurati, di cui uno lasciato incompiuto dopo averne composto solo i versus intexti e i primi sei del senso primo e questa occasione ci permette di capirne in statu nascendi la tecnica compositiva. (Fig. 26). Il secondo “De signaculo sanctae crucis”, ha per tema la croce col disegno degli intexti analogo al carme VI di Porfirio (Fig. 27), come del resto il III che è quello delle 33 lettere corrispondenti agli anni di Cristo, un carme curioso perché conta due versi disposti a triangolo sopra il carme, a figurare la cordicella che avrebbe dovuto reggere il carme se fosse stato scritto su foglio grande da appendere al muro quale tavola votiva (Fig. 28). Non è invece a versus intexti un quarto carme, forse spurio ma bellissimo, a forma di croce ove la parte centrale è composta con la tecnica a cubo, cioè con la parola ‘crux’ che si irradia a partire dal centro (Fig. 29). Venanzio è autore pure di eleganti versi intieramente o quasi tautogrammatici come questi dal carme 10,3: ornamentorum ornatus ornatius ornans oppure florum flos florens, florea flore fluens
Bonifazio
La massima fioritura dei versus intexti si ha durante la rinascita carolina con una serie di autori quali Bonifazio, Alcuino, Iosephus Scottus, Angilberto, Theodulfo, Gosberto, Rabano Mauro, Milone di Saint-Amand, Eugenio Vulgario, Abbone di Fleury, Paolo Diacono e pure due autori della Spagna del nord, Sarracino e Vigilano. Bonifazio, al secolo Wynfrith, nato verso il 672-75, nel Wessex, morto in Frisia nel 754, fu educato in Inghilterra ove fu consacrato prete, poi si trasferì nel continente per convertire i popoli germanici ancora pagani. Appoggiò l’ascesa al trono di Pipino che incoronò a Soissons come re dei Franchi. Scrisse trattati di metrica e di grammatica, una raccolta di enigmi in versi e vari componimenti poetici. Uno solo è carme figurato ad alternanza di distici elegiaci con esametri. Non essendo i versi isometrici, si supplisce con tecnica approssimativa, distanziando o avvicinando le parole in modo che si formi una figura a rombo costruita coi versi a destra uynfrith priscorum Duddo congesserat artem e a sinistra viribus ille iugis iuvabit in arte magistrum, al centro il nome Iesus Xristus raddoppiato a formare una croce (Fig. 30).
Ansberto
Ansberto di Rouen, morto nel 695, vescovo di Rouen, è autore di un carme figurato a versus intexti non isometrici ove il mesostico e il verso centrale orizzontale formano una crux immissa. Il carme consta di 23 versi ritmici: acrostico e telestico formano insieme la scritta audoaenus cognomento Dado – Ansebertus orator definit. Il mesostico reca crucem XPI in suo nomen levo e il verso orizzontale centrale gentes colentes isto ligno saluantur. Il carme è dedicato ad Aldovino di Rouen (Fig. 31).
Paolo Diacono
Paolo Diacono (Paolo Varnefrido, Cividale 720 ca - Montecassino 799) fu storico e grammatico longobardo. Per cinque anni maestro di grammatica alla Schola Palatina di Carlo Magno, nel 787 si ritirò nell’abbazia di Montecassino. Autore di trattati di grammatica e poemetti, è famoso per la “Historia Langobardorum”. Di lui rimane un carme figurato composto per Adelperga, figlia del re longobardo, a forma di croce con maiuscole colorate con le parole rex al sommo, sol in calce, pax a sinistra, rex a destra e al centro (Fig. 32). Nel quadrato superiore sinistro è spiegato che “isti sex versus sequentes ita sunt ordinati, ut per novem litteras in medio positas dicta decem inveniri possint, id est rex , vive, lux, ivva et iterum lux, ave,verax, via, ausiliare, vale". Nel quadrato superiore a sinistra la spiegazione continua “scansionem tamen et verba versuum utrumque venientium perfecte continent, ut parem numerum litterarum non impediunt”. Il discorso continua poi nei quadrati inferiori “a senis litteris incipiunt in quibus legitur rex, pax; in totidem litteris terminantur ubi legitur rex, sol, quae omnia in vestra coruscant celsitudine, domine piissime, ita ut omnes caelesti inluminatione conformetis et presentem pacem omnibus christianis assidue constabilitis subsidiisque indeficientibus adiuvare dignati estis. ideo nomina omnium virtutum propria sunt vobis”. Ci siamo dilungati nell’esame di questo carme perché inconsueto nella pratica dei versus intexti in quanto la spiegazione stessa del carme è parte del testo.
Alcuino
Alcuino, in sassone Ealhwine, (735-804), nato nella contea di York, fu alunno di un discepolo del Venerabile Beda. Durante un viaggio in Italia, nel 780, conobbe Carlo Magno che gli chiese di stabilirsi in Francia per costituirvi un centro di studi, la famosa Schola Palatina. Nel 790 divenne abate del monastero di San Martino di Tours. Per l’insegnamento Alcuino approntò manuali di grammatica, retorica, musica, matematica e astronomia, inoltre curò l’esegesi del testo biblico e compose poemetti ed epigrammi. Alcuino diede un decisivo impulso al risveglio degli studi e contribuì, forse più di qualsiasi altro erudito del medioevo, a salvare l’eredità classica. I suoi due versus intexti denotano una buona padronanza tecnica. Il primo “Versus de sanctae cruce ad Carolum” (Fig. 33) ha una forma di croce al centro composta dai versi surge, lavanda tuae sunt saecula fonte fidei (linea verticale) e rector in orbe tuis sanavit saecla sigillis (linea orizzontale) entro un rombo costruito coi versi salve sancta rubens fregisti vincula mundi e signa valete novis reserata salutibus orbi. Nel secondo (Fig. 34), “Versus ad Carolum regem”, la figura è a versus intexti disposti a griglia che divide il testo primo in sedici rettangoli. I tre versus intexti verticali recano rispettivamente: 1) Ducite nunc regi pronis nova munera Musis;2) Publius Albinus Carlo haec inclyta lusit; 3) Dicite laeta bono mecum modo carmina regi. I versi orizzontali recano: 1) Flavius Anicius Carlus laetare tropaeis; 2) Flavius Anicius Carlus per saecula salve! 3) Flavius Anicius Carlus tibi carmina dixi, dove per Flavius Anicius Carlus si intende Carlo Magno (Anicius=invictus, dal greco aniketos).
Iosephus Scottus
Fu discepolo di Alcuino, col quale venne nel 790 nel regno dei Franchi ove morì nell’804. Scrisse un riassunto del commento di Girolamo ad Isaia e quattro poemi figurati che ce lo mostrano preciso nell’esecuzione e ricercatore di figure complesse riecheggianti lo stile di Porfirio. Il carme III si richiama al carme XXII di Porfirio: divisione del testo in forme romboidali con al centro a croce la scritta lege Carle feliciter. I versus intexti disposti in diagonale a formare due romboidi intersecantisi, recano i versi Ille pater priscus elidit edendo nepotes ; mortis imago fuit mulier per poma suasrix ; Iessus item nobis ieiunans norma salutis; Mors fugit vitae veniens ex virgine radix.(Fig. 35). Il carme IV segue uno schema analogo sempre in diagonale coi versi Dic, o Carle, precor, quae stat preciosor auro; Dum rutulat species et caelo sublimior alto;Ssi tu lectas vocas pravis quae dantur ut aurum; Seu vestes pecudes et nec minus omne decorum e ai quattro lati i cunei Sapientia et veritas. Spes fides et caritas. (Fig. 36) Il carme V il cui titolo è “De nominibus Iesu ad Carolum regem” è diviso in quattro rettangoli uguali da doppie linee di versus intexti disposte a forma di croce, una struttura molto rigida. Nella riga superiore il verso Vita, salus, virtus, verbum, Sapientia, sponsus ; l’acrostico dà Virga columba, leo, serpens, firmissima petra ; il telestico Sol vita salvator summus, mons, stella, lucerna; l’acrostico orizzontale inferiore dà Auxiliare, decus, flos, campi, summaque dextra. I lati interni dei rettangoli sono così composti: per il rettangolo di sinistra in alto dai versi Rex regum, dominus cunctorum rite creator; per quello di sinistra in basso En puer et senior, fons vitae, vita perennis; per quello a destra in alto Virgo potens, vere vatis lux alma per orbem. Per il rettangolo di destra in basso Alfa vocaris et omega, pax, lumen, pastor et agnus. (Fig. 37) Il carme VI che ha il titolo “De sancta cruce” è il più curioso perché rappresenta la facciata di una chiesa romanica con tre porte a forma di croce, forse l’unico esempio di versus intexti a forma architettonica. Il lato sinistro dell’edificio è formato dal verso “Crux mihi certa salus Christi sacrata cruore. Il lato destro: Crux decus aeternum toto venerabile saeclo. La croce centrale Cruci semper a formare il braccio orizzontale. Il corpo verticale della croce è formato dalla parola sancta che si legge dal basso in alto e dalla frase salvet inscriptio corda. La croce piccola di sinistra dal braccio orizzontale è vita salus e in verticale crux credentis . La croce che forma la porta di destra, è formata del braccio orizzontale Mors poena e in verticale Crux negantis. (Fig. 38).
Angilberto
Sotto il nome di Bernowino ci resta una piccola serie di versus intexti che invece ascriviamo ad Angilberto (745ca-814), poeta della corte di Carlo Magno che compose carmi celebrativi come il frammento epico “Karolus Magnus et Leo papa”, per i quali fu soprannominato “Homerus”. Fu incaricato dall’Imperatore in varie missioni diplomatiche come nel 792-4 presso Papa Adriano I e nel 796 presso papa Leone III. Si sa che ebbe una relazione extra coniugale con Berta, figlia dell’Imperatore. La tecnica dei suoi versus intexti è singolare e consiste nel comporre testi tagliati da acrostici, mesostici e telestici, disponendo le parole senza rispettare l'isometria. Per le ricercatezze foniche di cui si compiace, egli è spesso costretto ad una scrittura di senso oscuro, ma è appunto nella eufonia che risiede il carattere peculiare dei suoi carmi, eufonia ottenuta colla ricorrenza ossessiva di allitterazioni, in alcuni casi perfetti tautogrammi come nel carme XI e XXII: Vitalis vita et victor victoria Iesu; Iustus tu iudex iusta et iudicia servi; Rex regum regnans regnorum rector amator; Inventor iuvenis iuvenum iuvenilia loeti. (Fig. 39 e 40)
Theodulfo d’Orléans
(Saragozza, 760-821/22) Fu abate e vescovo di Orléans verso il 782. Carlo Magno gli affidò importanti incarichi come legato dell’imperatore. Dopo la morte di questi, fu accusato di aver partecipato a una congiura del re Bernardo e fu destituito e imprigionato, ma presto assolto per intercessione del vescovo Augusto Duno. Compose un solo carme a versus intexti con figura a rombo crociato. Per sua stessa ammissione, invita il lettore a scusarne i difetti affermando di avere composto il carme su invito dell’imperatore. Iussu compulsus erili. Nel verso superiore si legge Omnipotens domine et pacis donator in aevum; nell’acrostico Omnia cui resonant sine fine creata canorem; nel telestico Mirus in arce cluens clarescens lumine sudo nel verso in calce Muniaque ut sumas prostratis vultibus opto. La croce centrale è composta dal verso orizzontale Nutibus eximiis tribuis caeleste tribunal e dal verso verticale Porrige dextram Teudulfo solacia prestans; mentre il rombo è composto dai versi Promere qui studeo nunc carmen mitibus odis che occupa il lato sinistro. Praecipuasque deo solitus cantare Camenas. che occupa quello destro. (Fig. 41).
Gosberto di Orléans
Morto nell’834. È autore di un solo carme a versus intexti in onore del conte Wilhelm von Blois, come si legge nel verso Te virtute, crucis soter, Guillelme, coronet che ripetuto per quattro volte incornicia la tavola. Pure la croce centrale è formata dagli stessi versi. I mesostici centrati sui quattro quadrati recano la dedica Praecelso Guillelmo infimus Gozbert. La figura si richiama al carme II di Porfirio. (Fig. 42)
Rabano Mauro
E giungiamo al “Liber de Laudibus Sanctae Crucis” di Magenzio Rabano Mauro che costituisce la summa di tutte le esperienze precedenti. Rabano, nato verso il 784 a Magonza, fu monaco dell’abbazia di Fulda, dove rimase sino all’842. Discepolo di Alcuino, fu curatore della ricchissima biblioteca del convento, di cui divenne abate. Costretto a lasciare il monastero perché fautore di Ludovico il Pio, riuscì a riconciliarsi con Ludovico il Tedesco, dal quale ottenne la carica arcivescovile di Magonza, ove morì nell’856. Scrisse il “De institutione clericorum” che si rifà al “De doctrina cristiana” di Agostino, il dialogo “De computo “ da Beda, una grammatica esemplata su Prisciano e 22 libri “De rerum naturis” dalle “Etimologie” di Isidoro di Siviglia. Il “Liber” è costituito da 28 carmi più dedica e prefazione, totale 30 tavole di versus intexti. È costruito secondo il criterio del numero esatto, cioè di quello il cui totale risulta dalla aggregazione dei suoi dividendi. Il 28 è tale perché risulta da 2x14, 4x7, 7x4, 14x2, 1x28, ciò che fa 2+4+7+14+1=28. Il prologo a sua volta, è costruito sul numero 6 e cioè 3x2, 2x3, 1x6, cioè 3+2+1=6. Lo spazio totale del libro è rappresentato dallo spazio parziale del prologo che non per nulla è un quadrato, figura geometrica perfetta e simbolica dell’intiera realtà. (Fig. da 43 a 73). La novità dei carmi di Rabano Mauro consiste nella combinazione della tecnica dei paegnia alessandrini con i versus intexti, vale a dire che Rabano immerge il paegnion nella griglia dei versus intexti assommando due difficoltà, una di ordine linguistico, i versus intexti; l’altra, di ordine prosodico, il paegnion, per un inedito risultato. Rabano affronta la figura umana, l’imperatore in piedi con lo scudo, il Cristo in croce, cherubini e serafini, gli animali dell’Apocalisse e se stesso inginocchiato ai piedi della croce nonché eleganti fiori che simboleggiano i doni dello Spirito Santo. Rabano affronta pure il palindromo: nell’ultima composizione del Liber traccia il segno della croce nel mezzo del carme con il seguente palindromo: Oro te ramus aram ara sumar et oro e giunge al limite estremo di creare testi che, letti al contrario, danno un secondo senso come il verso Si dote tibi metra sono his te Jesus inodis (se per mia capacità ti suono dei carmi, in essi ti ascolti, o Gesù) che letto al contrario dà Si do nisus ei et si honos artem ibit et odis (se suono appoggiato a lui e se l’onore lo attingerà, udirai anche l’arte). Il liber è dedicato all’imperatore Ludovico il Pio. Nello spazio verbale della dedica un certo numero di lettere, quelle maiuscole, non solo entrano nel discorso dei versi non intexti, ovvero del testo primo, ma compongono la figura del monarca in piedi con lo scudo, un paegnion immerso nel testo base. Nonostante la grande difficoltà del compito, Rabano riesce a darcene 6 esempi: quello già menzionato di dedica; la prima tavola che rappresenta Cristo in croce; la quarta di serafini e cherubini; la XV con i quattro evangelisti e l’agnello mistico, la XVI con serti di fiori, e la XXVIII e ultima ove Rabano rappresenta se stesso ai piedi della croce col già citato palindromo a formare la croce stessa: oro te ramus aram ara sumar et oro. Nel prologus Rabano spiega le libertà grafiche che si è permesso e dichiara di aver derivato la sua tecnica da Porfirio, ciò che è evidente nei carmi III, XII, XIV, XIX, XX, XXII, XXV, se confrontati coi carmi porfiriani V, VIII, XIX, di versus intexti formanti nomi o monogrammi. Ma pure in questo genere Rabano innova; nei carmi X, XVIII e XXI le lettere dei versus intexti non sono più adiacenti le une alle altre in modo da formare una linea, ma separate per mezzo di altre lettere così da dar luogo ad una tecnica ‘a punti’, per la quale le singole lettere colorate in minio, quelle dei versus intexti, compaiono sparse sul corpo scuro della pagina. Pure nella Prefatio, le lettere colorate ‘punteggiano’ il testo, formando la frase Magentius Hrabanus Maurus hoc opus facit. Rabano aggiunge ad ogni tavola una spiegazione della figura, che a volte è una semplice trascrizione in prosa alla quale sono aggiunte indicazioni per ritrovare i versi inseriti nelle immagini, ma a volte presenta pure le ragioni per cui quella rappresentazione è stata inserita nel testo, risalendo a citazioni bibliche e teorizzando sulla possibilità di vedere in particolari passi prefigurazioni della croce, e questa è una notevole evoluzione, l’aver sentito il bisogno di spiegare in prosa il proprio lavoro poetico, secondo un metodo che avrà fortuna sino al “Convivio” dantesco. Oltre al “Liber de laudibus sanctae crucis”, Rabano compose la prefazione al commento del libro di Giuditta, dedicato all’omonima regina, ove in forma di carme figurato i versus intexti recano la scritta Dextra dei summi Christe e al centro l’immagine di Giuditta. (Fig. 74). Altro carme a versus intexti precedeva il commento al vangelo di Matteo (Fig. 75). Nella Biblioteca Apostolica Vaticana, è conservato un codice (cod. var. bibl. Chig. A. V. 129 I e II fl 1r) ove compare un carme di Rabano che è composto da versus intexti che formano un quadrato in cui sono inscritti altri quattro quadrati completi di mediane e diagonali. Si tratta di un carme a versus intexti cui manca il testo primo di fondo e pertanto può essere considerato un vero e proprio calligramma, anzi forse il primo con quello di poco posteriore di Eugenio Vulgario “Pyramida ad Leonem Imperatorem” (Fig. 76). Nella definizione di calligramma seguo la teoria di Giovanni Pozzi in “La parola dipinta”, secondo la quale la forma del calligramma, parola coniata da Apollinaire (Calligrammes), viene concepita quale sviluppo e innovazione dei versus intexti ove questi non sono più collocati sul testo primo ma, questo sparendo, poggiano sul vuoto della pagina. In un altro codice, conservato nella “Bayeerische Staatsbibliotek di Monaco, compare la figura di un cubo policromo a forma di croce che ricorda il cubo forse di Venanzio. Ricordiamo che i carmi cubici o quadrati sono quelli in cui il testo è trascritto non linearmente, bensì con una irradiazione regolare a partire dal centro.
Carme ad Sanctum Gallem
Il carme Ad Sanctum Gallem del codice Sangall 187 (IX sec) è analogo al carme X di Porfirio da cui differisce nel senso che le due diagonali centrali dei versus intexti sono gli esametri Galle tuos famulos magna pietate reserve e Qui retines regnum da nos captare polorum e dividono il testo in quattro triangoli in ciascuno dei quali compare un doppio cuneo formato da versi adonii: in alto e in basso: Mente serena; Accipe mitis carmina vatis a sinistra e a destra O bone rector e Hunque iuvato munere noto. (Fig. 77)
Milone di St. Amand
Milone di Saint Amand, nato dopo l’809 e morto nell’871, monaco e poi prete del monastero di Saint Amand scrisse la Vita Sancti Amandi, la cui seconda redazione, inviata a Carlo il Calvo, era accompagnata da due carmi figurati definiti Paginae duae in specie sanctae crucis editae ad gloriosum regem Carolum. Il primo carme è, semplificato, analogo al II di Porfirio. Le scritte a versus intexti che delimitano il testo sono, leggendo in senso orario,: Accipe Karle precor carmen pietate benigna, Aurea saecla novans tam sacra ornare corona; Accipe Karle precor laudem currente Camena; Aeterno commissa levas moderamine sceptra. Il testo è diviso da un mesostico e da un notarico rispettivamente coi versi Arma tenens et signa parans bonitate serena e amplius auge operis laudem poscente Thalia. (Fig. 78). Il secondo carme ha figura analoga alla tavola XXIV di Porfirio a croce quadrata. I versi superiore e inferiore recano: Salve rector ovans aeterno munere. Quelli laterali, Salve carus amor aeterna laude coruscans. Il mesostico della croce reca. Et dextram miserans Miloni porrige Carle e il notarico Excipe clementer famulum, pietatis amice. Le due diagonali recano: Sumito rex laudes et metrica vota Milonis. (Fig. 79).
Eugenio Vulgario
Di Eugenio Vulgario, morto dopo il 950, campano, monaco forse di Montecassino, una difesa di Papa Formoso suscitò le ire di Papa Sergio III che lo fece imprigionare a Roma. Eugenio rispose componendo dei versus intexti in lode sia del Papa che dell’imperatore Leone, ottenendo la libertà e il ritorno in Campania. Oppresso dalla miseria, supplicò aiuti al papa, a Leone e al vescovo napoletano Atanasio. Eugenio, essendo campano, risente dell’influsso della cultura bizantina, conosce bene il latino e pure autori poco frequentati nell’epoca e sa usare molti metri anche i più rari. In un certo senso fu un precursore del Rinascimento. Nel primo carme le lettere di acrostico, mesostico e telestico devono essere lette in successione e formano la frase. Aeternum salve praesul stans ordine Petri. (Fig. 80). Il secondo carme è la famosa "Pyramida ad Leonem Imperatorem” composta di sei versi intexti con poche lettere obbligate: agli angoli Leo, poi scendendo Ave Cesar Leo. Questo carme è uno dei primissimi esempi di calligramma., come già detto a proposito di Rabano Mauro. (Fig. 81). Il terzo carme ricalca la figura del secondo carme di Milone, ma essendo i versi in numero di lettere pari presenta imperfezioni. Tutti i versi intexti, sia quelli interni che esterni, ripetono la seguente frase Rector terrarum rerum mentis moderator. (Fig. 82). L’ultimo carme di Eugenio Vulgario è un paegnion a forma di siringa che si rifà al carme XXVII di Porfirio. I versi intexti recano Salve Sergio (acrostico), Papa (al centro) summe rerum (telestico). (Fig. 83).
Abbone di Fleury
Abbone di Fleury, nato verso il 940/945 a Gau presso Orléans, morto nel 1004, fu un enfant prodige tanto da essere nominato in giovanissima età insegnante di grammatica, dialettica e aritmetica prima in Inghilterra e poi nel convento di Fleury. Fu spesso in contrasto con vescovi e re perché strenuo difensore dei privilegi monastici, tanto che il vescovo di Orléans organizzò una volta un agguato contro di lui che si recava alla festa di San Martino a Tours. La sua morte fu violenta, ucciso dai guasconi presso cui si era recato per ricondurre all’obbedienza il monastero di La Réole. Abbone ha composto tre carmi a versus intexti. Il primo, non isometrico, dedicato all’arcivescovo Dunstan di Canterbury, è costruito dal verso “Summe sacer, te summa salus tueatur amicis” che si ripete sette volte in principio, in calce, nell’acrostico, nel mesostico, nel telestico e nel centro, creando la figura di un rettangolo con croce centrale (Fig. 84). Il secondo, sempre non isometrico, è composto da acrostico, mesostico e telestico che ripetono il verso Oro serene sacer memoris, memor otius esto. Il primo, quello centrale e l’ultimo verso recano l’augurio O praesul Dunstane probus sine fine valet. (Fig. 85). Il terzo carme “Carmen achrostichum ad Ottonem Imperatorem” è composto con una figura simile al secondo di Porfirio e il verso Otto valens, Caesar, nostro tu cede coturno si ripete sei volte a formare la cornice e la croce centrale (crux quadrata). Al centro dei quattro riquadri, come nel secondo di Porfirio, campeggiano in verticale, le scritte Otto – Caesar – Abbo – Abba. (Fig. 86).
Versus Augienses
Il “Carmen figuratum sanctae cruce” dei cosiddetti “Versus Augienses” (Reichenauer codex, St. Gallen) rappresenta il culmine dell’eleganza e della complessità cui può giungere la tecnica dei versus intexti. (Fig. 87). Purtroppo la perdita dei primi due versi e di tutta la parte destra e lo sbiadirsi di alcune lettere, rendono impossibile una completa ricostruzione. Tuttavia la figura è chiara come esempio di croce greca, circondata da quattro quadrati. Al centro, lo spazio di quattro lettere racchiuso nel quadrato in cui è scritto “Iesus Cristus”, contiene una “imago Christi”.
Versus intexti in Spagna
Nella Spagna del Nord, nel monastero di San Martino in Albelda nei pressi di Logroño furono composti 5 carmi figurati, ora conservati nel Codex Vigilanus all’Escorial, Madrid. autori i monaci Vigilano, Sarracino e Garcia. Nel medesimo codice una tavola miniata ritrae i re Chindasvint, Rcesvint, Egica, Sanchoi, Radimiro e la regina Urraca, sotto gli autori Vigilano, Sarracino e Garcia. Il primo (Fig. 88), di complessa composizione, è incorniciato dai seguenti versus intexti: in alto Gloriosa Cristi caro insons cruci adfixa ; l’acrostico Gaudium magnum adfert bonis suabe lignum; il telestico Alma crux, secula omnia salva ac muni turma; in calce Manenti laus cruci adfixo omnia in secula. Al centro un doppio mesostico sopra e sotto digradante a scalini, forma la parte verticale della croce con la frase Crux veneranda ferens salbatoris membra e Vigilanem Gracilam, o crux, protege sancta. Al centro un doppio notarico a formare il braccio orizzontale della croce, reca Arbor vitae largire precibus Sancionis e Amomum crucis flos sacre adfla Ranimirum. Al centro dei quattro quadrati formati dalla croce le parole O lectores – Memoriosi – Sarracini – Mementote. Il secondo carme (Fig. 89) è a forma di palma, ed è simile al carme IX di Porfirio. Il mesostico centrale reca Arbor pardis tensa ramis hincque sive et hinc; il ramo superiore Salbator, Sancioni da victoriae palmam; discendendo, il ramo seguente dà Sancta Maria, Urracam ancillam respice tuam; sempre discendendo Agie, fabe angelo, Micael, Ranimiro tuo; il quarto e ultimo ramo dà Vatum fruantur precatu familie palmas. Il terzo carme (Fig. 90) è composto da una croce centrale e da una sola diagonale che attraversa il testo. L’acrostico reca: O rex celi, Sancionis munia sepe fac fortia; il telestico Sancta Maria, Urracam tuere ancillam tuam; il mesostico, ovvero braccio verticale della croce, reca O alme rex poli, Garseani regi da celum frui. Il notarico ovvero braccio orizzontale della croce Miles, o Criste, tuus Ranimirus sic honorem; la diagonale Angelus bonus tuus Ranimirus vigeat, Deus. Il quarto carme (Fig. 91), a croce centrale, è attraversato da due diagonali e reca l’acrostico O rex genite, Criste, ingeniti patris lumen; il notarico superiore O alfa et omega, altissimi dei patris sapientia; il telestico Aulam tua sepe almi Martini luce inlustra; il notarico inferiore Nate patris summi hic nos velociter adfla , la diagonale sinistra O initium et finis, o Theos, civo nos tuo civa; la diagonale destra Nate patris, ac salba hic monacorum acmina; la croce centrale in verticale Dei alme spiritus, o Theos, adesto nobis hic; il braccio orizzontale Nate patris summi, o Theos, nos raptim adfla. Infine un carme a versus intexti (Fig. 92) è conservato nell’Archivo General de la corona de Aragòn, Barcelona, cod. 46. È composto dal verso Metra suit certa si visat rectius artem che si ripete sei volte formando la cornice e le diagonali. I due bracci della croce centrale hanno Ut citius repsit ne ventis persuit ictu. La composizione non è isometrica. La sua singolarità sta nel fatto che entrambi questi versi sono palindromi.
I versus intexti dopo il secolo X
La produzione di versus intexti non si ferma al X secolo. Troviamo alcuni esempi di acrostico in Abelardo e in François Villon, ma in forme tendenti al calligramma. All’inizio del ‘500 il monaco Giacomo Magdalio, nato a Gouda in Olanda e attivo fin verso i primi lustri del 1500 a Colonia, pubblica nell’“Erarium Aureum Poetarum” (Colonia, 1501) un carme elegantissimo nel tracciare la scena dei Re Magi offerenti e il ritratto in piedi della santa protettrice Columba. (Fig. 93). Caramuel de Lobkowitz nei due tomi della Metametrica (1663-68), ci darà molti esempi di versus intexti combinati con vari altri accorgimenti. Nella tavola XXI troviamo un carme quadrato con versi intessuti non isometrici da leggersi in senso orizzontale e verticale. (Fig. 94). Nella tavola XIX abbiamo un epigramma a versus intexti non isometrici (fig 95). Nel paragrafo 407 “Fama et echo de Leopoldo Austriaco” un acrostico triplo discendente e ascendente combinato con versi ecoici. (Fig. 96), Nella tavola XXXI bis un carme quadrato con versus intexti non isometrici in onore di un dottore il cui nome è un palindromo: Iure Merui. (Fig. 97). Un altro autore coevo del Caramuel, P. F. Passerini, compone un carme quadrato combinato con versi intessuti non isometrici (“Schedarium Liberale”, 1659). (Fig. 98). Il vercellese d’origine, ma pavese d’adozione, Antonio Maria Spelta, compone versus intexti fatti di sentenze in “Istoria de’ fatti notabili, aggionta” (1597-1603). (Fig. 99). Passando alla zona ispano portoghese dobbiamo segnalare alcune composizioni che pur non rientrando nell’ambito stretto dei versus intexti tuttavia ne traggono ispirazione come ad esempio il sonetto a Maria Sofia Isabel “Anagramma Poetico” (in “A Phenix de Portugal prodigiosa…”, 1678) (Fig. 100); e la “Conclusio XXVII”, Carmen Sotadeum lusitanum, che troviamo inserito in una tesi di diritto civile di Emmanuel A. Gama Lobo, stampata a Lisbona nel 1726 (Fig. 101). O anche questo sonetto "Peragramma" dedicato a Maria Thereza Walburga de Austria (Frei Francisco da Cunha, Oraçam academica e panegyrica, Lisboa, 1743) nome che anagrammato dà la frase: tu brava iraz: adoremie jagalharda venus.(Fig. 102). E, ancora, l’elegantissimo sonetto acrostico Imploram os devotos de N. S. do socorro de layam di Anonimo. I versus intexti tracciano una M (iniziale di Maria) all’interno della composizione. (Fig. 103). Qualche rarissimo esempio lo possiamo trovare nell’avanguardia contemporanea come in “Jobboj” (“Lotta di Giobbe"), Praga 1967 di Josep Hirsal e Bohumila Grögerova e mi riferisco alle due composizioni dedicate a Morgenstern e a Faulkner. (Fig. 104 e 105).
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