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Il testo si sdoppia: la scena è mobile, i ruoli
s'invertono. I luoghi sono tutt'uno, il rito si mescola a piccole faccende,
l'altisonanza alla miseria. In una labirintica plaza de toros, l'irruente
toro e un barbiere di campagna chiamato in modo irridente Sciampuina (da
shampoo), nella disputa si proietta l'ombra ridotta di una botteguccia.
La forza del toro si sprigiona, lontano il richiamo di un minotauro greco,
più evidente il culto del toro degli antichi iberi, la corrida
concepita come lotta mortale contro le forze bestiali dell'ombra. Quando
il toro viene liberato è come una eruzione vulcanica, sbuffa maledizioni
in spagnolo. L'animale si siede (si stravacca) sulla poltrona ("Barbér!
Sarah l'eus... "). All'imposizione Sciampuina, il tapino, s'impenna
orgogliosamente ("Jamas yo soy hombre") scatenando l'ilarità
del toro che poi lo provoca dicendogli di tirar via la mantiglia ("stráss",
in dialetto) e si sente sempre rispondere allo stesso modo. Quest'alternanza
di provocazioni e di contrapposizioni prosegue (il torero evita le cariche
della bestia) fino al chiarimento del toro che in definitiva vuole solo
farsi i capelli ("claro?"), ma le sue pretese sono sempre beffarde
("tagliami i peli dell'orecchio e vai dentro nelle narici, ma prima
grattami la schiena..."). All'ennesimo: "Jamas yo soy ombre"
il toro risponde: "Tè me feht pehna". Il toro-cliente
si sveglia e stenta a credere che è giunta la sua ora alle fatidiche
"cinque della sera" ("mi hai tagliato ... vieni qui che
ti sventro..."). Il toro non vede quasi più, sente il sapore
del sangue-sapone in bocca e mentre si guarda allo specchio invita il
barbiere a finirlo. Il toro muore e rinasce come uomo ("Adios Sciampuina...")
e ritorna toro vitalissimo e violento. Nell'urto finale ("Big Bang
Olà") va fuori strada. Alberto Mari da Pasotelli Serraglio |