Adriano Spatola

 

 

                                           L’ ebreo negro 

 

 

 

1

 

 

i passanti, scuri e bassi, pesanti: avvolti nel fazzoletto sopra la faccia

 

come brucia e fa fumo nero e denso l’erba del nuovamente fiorito giardino

 

dentro nel quale giocava la fanciulla la signora che scivola nel vento

 

tenendo ben fissa con la mano la testa da poco rifatta

 

perché una raffica più forte delle altre non la mandi a rotolare nel centro della piazza

 

signora salomé domandi al padre tuo soltanto la tua testa

 

 

2

 

 

tenendoci per mano intorno al carro armato dal quale siamo nati noi

danziamo

 

vedendomi alla fine salire, arrampicarmi, verso la corda tesa sopra lo

spazio

 

scimmia con la tuta lassù danzare protetto da una rete che formano in-

trecciate le dita di quelli che stanno di sotto

 

e uno col piattello fare il giro, raccogliere monete

 

che cosa posso fare in questo meccanismo mescolando il mio tempo

in senso verticale

 

tenendo lontane da me le pagine del libro dei morti: iscrizioni, souvenirs,

che rileggo la sera

 

ma la distruzione da un pezzo s’è compiuta: adesso, venire con me, chi-

narsi, guardare, toccare con le dita, pelle screpolata

 

seduti al tavolino a prendere il caffè per consultare i giornali: pioggia che

batte sui tetti delle automobili in sosta

 

perfettamente tranquillo, seduto nel posto a me riservato, senza possibili

errori, nel posto da me prenotato

 

gonfio relitto, carogna della nave dai pesci smantellata

 

e dentro la bacheca si dispongono in un ordine nuovo i vermi antichi:

i cui corsi e ricorsi van seguiti

 

 

3

 

 

di dirlo con i fiori lo sapevano da quando da dentro le fosse comuni li

spingevano fuori

 

soffice tappeto dai mille colori, colonie di vermi, truppe in movimento

verso il fronte

 

albero nato proprio nel mezzo: sopra la rete, dita intrecciate di quelli

che stanno lì sotto

 

orfeo! gli dice uno, erfeo! gridando, efreo! battendogli la faccia con i

piedi, ebreo! gli dice allora: “canta!”

 

canta! risveglia  questi morti

 

e tra le fronde il vento, aria condizionata, deodorante vaporizzato nella

stanza da letto

 

e sopra la rete eccomi danzo, canto, suono la cetra: scimmia dentro la

tuta, tuta gonfia di vento, vescica di porco

 

ed eccomi autocarro, puntando deciso verso il largo, vele spiegate: sasso

deciso ad affogare

 

vescica di porco gonfiata da gas cadaverici, un giorno già piena di strutto

 

 

4

 

 

sigillatemi il naso, mettetemi i piombi alle orecchie, chiudetemi il buco

 

del culo, cemento dentro la bocca

 

portarmi ad occhi aperti attraverso la città illuminata

 

(alberi intorno, nessuno per la strada)

 

poi, subito, a destra: violento carnevale

 

questi che corrono zoppi incontro ai vuoti tassí dimenando le banconote

 

scivolando via vuoti i tassí senza fermarsi

 

questi che dalle nicchie tolgono gli imbalsamati amorini

 

fogne in continua vomitazione, liquido nero dentro le scarpe

 

 

5

 

 

inutile distruggere le carte, inutile bruciare i documenti

 

vengono fuori in processione, cauti e pazienti, nascosti dentro cenciose

divise

 

mani sporche di terra, tasche sventrate

 

e un suono di violini li accompagna tutti al tram, per prendere l’ultima

corsa

 

stipateli! stipateli!

 

bloccare i finestrini, mettere i piombi alle porte

 

vettura che viaggia per la città di giorno e di notte, rumore riconoscibile,

tram claudicante

 

 

          da  “L’ebreo negro”, ed. Scheiwiller, Milano 1966

    copyright Riccardo Spatola e Biancamaria Bonazzi Spatola

 

 

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